Daniele Mutino, moderno cantastorie
Mar 21, 2019 Classica
Daniele Mutino, moderno cantastorie
Libro-intervista a cura di Maria Lanciotti
seconda edizione aggiornata dicembre 2018
Prefazione di Simone Sassu
musicista, presidente “Archivi Sassu”
Sempre più raramente, nel panorama musicale odierno, capita di imbattersi in personalità capaci di mettere in crisi le classificazioni ordinarie, l’inquadramento facile in una data cornice stilistica, in un linguaggio, in un “genere”.
Il percorso di Daniele Mutino sembra raccontarci come la sua figura di moderno cantastorie possa rappresentare uno di questi fortunati esempi, capace (come succede anche nel caso di Giovanna Marini) di scompaginare categorie consolidate – e talora contrapposte, come colto/popolare, oralità/scrittura, composizione/improvvisazione.
In questo prezioso libro-intervista, Mutino mostra come la sua vicenda umana e la sua avventura musicale siano l’una specchio dell’altra, mettendo totalmente e coraggiosamente in gioco il suo vissuto esistenziale (ricco e appassionante non meno della sua produzione poetica), prima con l’occupazione della “Sapienza” e in seguito con le decisive esperienze legate al collettivo “Novanta Teatro Movimento”, fino alle battaglie per la valorizzazione del teatro di strada a Roma, e a fianco di artisti come Nino Racco e Claudio Montuori.
Grazie a questo lungo racconto è possibile tracciare le linee del suo apprendistato artistico; e se si considera come punto di partenza l’incontro con la straordinaria figura del nonno materno “perfetto fabulatore”, (bravo a dar vita a veri e propri cicli epici intorno ad alcune tra le vicende più drammatiche del ‘900 Italiano), e come fase di passaggio il compimento degli studi di musica classica e il successivo abbandono della carriera di pianista-concertista, il definitivo approdo al teatro di cantastorie sembra quasi un ritorno alle origini, ai racconti interiorizzati nell’infanzia, animati dalla esigenza di trasformare la storia reale in racconto mitologico, la cronaca in poema allegorico, i personaggi in archetipi.
Senza contare quanto abbiano inciso, nel maturare, il convinto superamento della dimensione legata alla cultura musicale classica e nella ricerca di una radicale autonomia espressiva, sia la permanenza a Mogadiscio, dai diciassette ai venti anni, dove il giovane Mutino, grazie alla tradizione africana, scopre il carattere più arcaico della musica, che la vita comunitaria a Case Bianche sul Monte Peglia, dove si compie il passaggio dal pianoforte alla fisarmonica e, in particolare, dall’esecuzione di partiture rigorosamente scritte all’improvvisazione e alla composizione.
Chiamandosi e auto-definendosi Mutino “cantastorie”, e per quanto, come detto, la sua figura non facile da inquadrare in schemi predefiniti, viene però da chiedersi come essa possa richiamare questa nobilissima e plurisecolare tradizione poetica.
Va anzitutto precisato che siamo in presenza di un autore, che produce prevalentemente testi e musiche originali – e pur sembrandoci agevole includere la sua vena creativa nel novero della poesia orale, è invece il suo rapporto con la tradizione orale a sollecitare maggiori approfondimenti.
È stato già messo ampiamente in luce (e in modo esemplare, da Diego Carpitella) che mentre solo nei contesti culturali extraeuropei è forse ancora oggi possibile osservare fenomeni riconducibili ad una vera e propria “oralità primaria”, in ambito italiano – ma più in generale, europeo – vi sono perlopiù situazioni di ambivalenza, ossia di compresenza, di una “tradizione mista” orale e scritta. Nondimeno, se si pensa ad artisti come Ciccio Busacca, Otello Profazio o Rosa Balistreri, appare indubbio come in questi casi la componente dell’oralità abbia giocato un ruolo predominante.
È plausibile che nel caso di Mutino questo rapporto possa apparire rovesciato, trattandosi perlopiù di repertori di composizione propria. Va però sottolineato il passaggio in cui lui stesso afferma di avere avuto la possibilità (in occasione dei numerosi spettacoli di piazza in piccoli centri rurali della Basilicata, delle Puglie, del Cilento), di entrare in contatto con tanti “detentori di antiche tradizioni musicali del meridione contadino e pastorale, persone che di buon cuore, in una sorta di baratto artistico, condivisero con noi le loro musiche e i loro canti”. Repertori che perciò, secondo il procedimento rapsodico tipico del cantastorie, “entrano nel circolo” di un più ampio processo di rielaborazione. Lo stesso Mutino, peraltro, correttamente ricorda come dal Medioevo ai tempi più recenti i cantastorie di strada abbiano sempre avuto l’usanza, per le loro storie cantate, di ricorrere anche a musiche preesistenti a cui veniva cambiato il testo.
Ed è così che si manifesta quasi una sintesi di concetti apparentemente antitetici – quello di ‘originale’ e quello di ‘tradizione orale’ – perché Mutino chiarisce come anche nella sua esperienza ogni esecuzione di un canto possa essere, allo stesso tempo, la creazione di un canto nuovo, dato che l’artista interviene sempre, in modo più o meno (in)conscio, a introdurre delle libere modifiche ai versi in risposta alla sua vena del momento e, soprattutto, alle interazioni con l’uditorio.
Altro tema portante del libro, infatti, è quello relativo al contesto, che è come sappiamo centrale in ogni considerazione sul canto popolare (e il lavoro di Mutino, è – e vuole essere – davvero popolare, anche per i forti contenuti sociali che intende veicolare). E quello del cantastorie non può essere che un contesto nomade – sempre mutevole, esposto all’ostacolo contingente, così come alla fiammata poetica dell’imprevisto, nella piazza, nella sintonia col pubblico che vive l’esibizione come partecipazione a un gioco, ma anche come coinvolgimento rituale, definito appropriatamente dallo stesso Mutino “compartecipazione emotiva del cerchio dello spettacolo”.
Si tratta, in definitiva, di un libro che mostra, fra i suoi maggiori pregi, quello di offrire un numero considerevole di spunti per una indagine ancora più approfondita sui processi creativi e le tecniche compositive e performative di un moderno cantastorie; e se è vero che l’esperienza dei passati esponenti di questa forma poetica costituisce un paradigma imprescindibile di riferimento, è anche giusto ritenere che quando verrà svolto un serio lavoro di raccolta, analisi e catalogazione della preziosa opera di artisti attualmente in attività come Daniele Mutino, questo patrimonio così acquisito basterà a smentire l’idea del cantastorie “relitto storico”, o ultimo epigono di una tradizione più che millenaria, per ricollocarlo invece, e a pieno titolo, nel milieu della più autentica e genuina narrazione del contemporaneo.
Simone Sassu
April 8th, 2019 at 20:08
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